Tuttavia ciò non mi sembra sufficiente per accollare alla critica gastronomica responsabilità di sorta per quanto riguarda l'andamento del settore ristorazione in Italia, mi sembra anzi che vi sia una sproporzione tra le polemiche suscitate dall'attività della critica e l'effettiva capacità d'incidere su di esso.
Tali polemiche peraltro, non avrebbero più ragion d'essere nel momento in cui ciascun utente si decidesse ad utilizzare le guide in modo appropriato, impegnandosi in una sorta di personale valutazione delle valutazioni, non affidandosi a quest'ultime ciecamente.
Posto ciò però, mi pare di poter dire che se il settore ristorazione attraversa oggi un momento interlocutorio, per non dire difficile, ciò non possa affatto addebitarsi, come sopra accennavo, al ruolo svolto dalla critica gastronomica cartacea e on line.
Anzi mi pare che la tendenza ad enfatizzarne limiti ed imprecisioni, rischi di porre in secondo piano problemi più grossi che sono alla base delle difficoltà del comparto ristorazione.
Il dato rilevante a mio parere è un altro: la congiuntura economica ha di fatto destabilizzato il comparto ristorazione, modificando in modo sostanziale il rapporto tra domanda ed offerta.
Ha diviso l’offerta in due: quella accessibile e quella inaccessibile.
Ciò ha generato una fase nuova ed interlocutoria, nella quale tra l’altro, i protagonisti più noti del settore e mediaticamente più in vista, sembrano attivarsi, più o meno scompostamente, per proporre iniziative e suggerire percorsi, proprio nell’intento di superare tale fase critica.
Ne è prova ad esempio l'esternazione di Gianfranco Vissani sulla necessità di un recupero di tradizioni e sapori propri della cucina anni ’50.
La stessa inflazionata partecipazione di cuochi alle trasmissioni tv, mi pare testimoni la difficoltà del momento, laddove non è più il cliente che va al ristorante, ma è il ristorante che entra in casa del cliente.
Da parte loro, gli organi d’informazione off e on line, vedi qui: http://www.baritoday.it/economia/rilanciare-un-ristorante-attraverso-strategie-di-marketing-1870495.html ,
s’impegnano per sensibilizzare gli operatori del settore, sull’importanza d’intraprendere misure correttive che invertano il trend negativo odierno.
A me pare che quelli sopra citati, siano indizi che comprovano lo stato di crisi e siano tentativi intesi ad evitare il rischio di disaffezione da parte del pubblico, proponendo formule più in sintonia con esso, offrendo un’immagine diversa e aggiornata di ristorante, cercando di proporre nel quotidiano dell’utente consumatore un livello accettabile di qualità, per smantellare un po' alla volta il convincimento consolidato dell’inaccessibilità della stessa.
Di fronte a questo stato di cose interlocutorio, il dato saliente da registrare mi pare che sia sostanzialmente uno: l'andamento economico è fattore condizionante degli stili di vita e delle scelte (vedi qui: http://www.agroalimentarenews.com/news-file/Spopola-l-aperi-cena-in-tempi-di-crisi---AgroalimentareNews-com.htm ).
Se fino a qualche tempo fa si cavalcava sulle ali di un entusiasmo smisurato, alimentandosi con l’idea ottimistica del futuro e quindi si aveva lo spirito giusto per proporre un tipo di ristorazione molecolare, concettuale, spaziale, futuristica, ancorchè elitaria, oggi non sembra più essere il caso.
Anzi lo stato di crisi attuale, sembra imporre l’innesto immediato di una retromarcia verso forme di ridimensionamento almeno parziale di quella ristorazione di vertice, iper-raffinata, che cerchi di recuperare per quanto possibile, punti di riferimento perduti, addirittura affidandosi alle tradizioni passate.
Volendo tuttavia guardare in positivo l’evolvere della situazione, credo che vada colta appieno e per nulla sottovalutata, l'opportunità di cambiamento che la congiuntura economica sembra offrire.
Penso in sostanza che proprio ora, sulla base delle nuove esigenze generate dalla condizione economica modificata, possa essere rimodulata la proposta di ristorazione.
La crisi può essere occasione per un giro di vite, che punti ad estendere gli standard qualitativi elevati, propri della cucina d’eccellenza, alla maggior parte dell’offerta ristorativa.
Riportare standard elevati a disposizione della gran parte degli utenti consumatori: questo mi pare l’obiettivo da raggiungere.
Dare loro la possibilità di riappropriarsi di gusti, sapori, stile, accoglienza e di tutte le altre componenti nessuna esclusa, che dovrebbero far parte in modo sostanziale ed imprescindibile di una qualsiasi offerta di ristorazione, non solo di quella di nicchia.
In sostanza credo che in questa fase critica, se da un lato occorra indirizzarsi verso un parziale ridimensionamento della ristorazione di vertice, dall’altro e cioè da parte della ristorazione di fascia media o medio bassa, sia necessario avere il coraggio d’investire in maggiore qualità, soprattutto per quanto riguarda materie prime ed accoglienza.
A mio parere una rimodulazione di questo tipo, si risolverebbe in un beneficio per l’intero settore, poichè stroncherebbe sul nascere i tentativi di coloro che davanti ad orizzonti poco chiari ed incerti, per far fronte alle difficoltà contingenti, avessero la malaugurata idea di appiattirsi su proposte ristorative di livello infimo o di bassa lega.
L’estensione su larga scala di una tale tendenza al ribasso, finirebbe per mettere seriamente a rischio le tradizioni alimentari nostre, la cultura dell'ospitalità e il Made in Italy.
Ti sono nel cuore...stò pensando a quei ragazzi( non tanti ) che passando nella nostra cucina, l'hanno trovavata troppo tradizionale e qualche volta scontata e vedevano come punto di riferimento i grandi , senza pensare che loro per diventare grandi conoscono la cucina tradizionale alla perfezione.Poi magari i limiti venivano fuori sulla preparazione di un piatto del territorio ( Troppi conigni in porchetta che sembravano lessati, mi son visto presentare ): La colpa però è anche di qualche illustre giornalista gastronomo, che nell'organizzazione dei concorsi ( di lancio)ha premiato il "genio " ( Quale ??) a discapito della qualità del prodotto e dell'accessibilità da parte del consumatore a recepire " il senso " di detta creazione.La cucina è anche sperimentazione e i risultati debbono essere ben recepiti dai consumatori, quindi la verità stà nel mezzo: tradizione rivisitata ma non stravolta, rispetto del territorio e della materia prima , dove per rispetto intendo preservazione della freschezza e del sapore primario del prodotto.
RispondiEliminaMassimo Biagiali
Caro Rinaldo leggo solo ora questa tua nota molto interessante che mi spinge ad alcune considerazioni.
RispondiEliminaPer me esiste solo un tipo di cucina, quella fatta in maniera corretta, tutto il resto è qualcosa che non merita attenzione e che dovremmo impegnarci a far scomparire dal mercato, proprio per salvaguardare chi fa onestamente, intelligentemente e sapientemente il proprio lavoro.
La discriminante non è tanto tra tradizione e innovazione (come va scrivendo recentemente Bonilli) ma amatorialità e professionismo, competenza e improvvisazione, onestà e cialtronaggine.
Ritengo che l'offerta gastronomica marchigiana sia piuttosto scadente e me ne dolgo. Pensa, Rinaldo, per un istante alle numerose pizzerie al taglio che affollano la nostra regione, io faccio fatica a indicartene più di due o tre che ritengo degne di essere prese in considerazione. Nessuno studio, nessuna ricerca sulle tecniche, nessuna attenzione ai prodotti, nessun riguardo al servizio. Ogni volta che entro in una pizzeria resto allibito dal nulla che mi trovo davanti.
Più in generale direi che il vero male è la scarsa professionalizzazione delle competenze, di cucina e di sala, imputabili alla mentalità truffaldina di molti ristoratori locali che preferiscono circondarsi di dilettanti prestati alla ristorazione piuttosto che investire su persone specializzate e con esperienze di alto livello.
Il secondo gigantesco male è l'assenza di trasparenza. Reputo molto strano che la grande distribuzione debba produrre etichette dettagliatissime per ogni alimento, mentre la ristorazione può allegramente infischiarsene. Oramai, quando a ristorante mi dicono cipolla rossa di Tropea o pistacchio di Bronte scoppio in una fragorosa risata, perché lo stesso ristoratore utilizza in cucina un olio palesemente dozzinale e probabilmente non Italiano, figuriamoci se può mostrarsi, invece, tanto attento nella selezione dei pistacchi...
Il terzo fattore è l'assenza di cultura enograstronomica. L'italia, lo scriveva Piero Camporese, è stato a lungo il paese della fame, ciò ha favorito l'affermazione del motto "tanto e a poco prezzo" che è la morte della qualità. Non amo fare spese insensate, ma sono sempre più convinto che occorra spendere bene e farlo con cognizione di causa, rivolgendosi a grandi professionisti (che in questo periodo dovrebbero far pagare il giusto prezzo di quello che offrono) piuttosto che a piccoli imprenditori improvvisati.
Io credo molto complicata l'ipotesi che il cambiamento possa provenire dagli imprenditore dell'enogastronomia, quindi spetta ai consumatori modificare i propri atteggiamenti.
Io seguo un personale decalogo per la scelta di un ristorante, le prime regole sono queste:
1)Mai frequentare un ristorante che non consegna un menù al tavolo.
2)Preferire i ristoranti che hanno un sito internet chiaro, con prezzi ben illustrati e che indichi i propri fornitori
3)Diffidare se il food cost è al di sotto di quanto spenderemmo a casa per lo stesso piatto
4)Dietro ai menù chilometrici ci sono celle frigorifere affollate e piene di pesci e carni dalla dubbia provenienza. Meglio avere poca scelta ma di qualità.
4) Quando il proprietario parla di chef abbiate lo scrupolo di domandarne il nome, perché dietro quell'appellativo altisonante potrebbe nascondersi la vostra vicina di casa. Percarità, bravissima, ma una lavoratrice prestata alla cucina professionale.
5)Depennare dalla propria agenda chi offre prodotti fuori stagione
6)Bandire chi nel proprio ristorante offre un tiramisù fatto con i pavesini, facendolo pagare 5 euro.
...
Ce ne sarebbero altre, ma il senso è quello di andare a ristorante con uno spirito critico spiccato, anche se lo si sceglie per evadere dalla routine quotidiana, senza lo scopo preciso di ricercare un'esperienza gastronomica (quindi, per me culturale). Per me sono cose importanti di cui varrebbe la pena discutere ancora. Grazie per lo spunto.
La mia riflessione prendeva spunto dallo stato di crisi del settore ristorazione, confermato tra l'altro dalla chiusura di alcune attività avvenuta nel frattempo.
EliminaDa ciò la mia preoccupazione sulla possibilità di un allargamento della forbice tra ristorazione di grande qualità e ristorazione popolare.
Io credo che per la conservazione e trasmissione della cultura gastronomica nostrana, sia necessario restringere questa forbice e non allargarla relegando la grande qualità in una nicchia ai più inaccessibile.
Io è questo il rischio che vedo ora e cioè una sorta di speculazione sulle difficoltà economiche degli italiani, che miri alla qualità di nicchia e inaccessibile, proprio per defraudarli delle loro tradizioni più consolidate e delle loro radici; allo scopo di omologare la nostra cultura, storia, tradizioni, civiltà in senso lato, invece di valorizzare il tratto identitario nostro, che è la nostra ricchezza e per quanto mi riguarda anche il nostro futuro.
In sostanza sotto sotto, la mia può anche interpretarsi come una riflessione di tipo politico e di scenari in via di modificazione.
Per restare nel merito però, ritengo di poter sostanzialmente condividere il tuo appello a una maggiore consapevolezza ed intransigenza da parte dell'utente consumatore.
Tuttavia credo anche che dall'altra parte, i ristoratori non vadano lasciati soli, specie oggi; ma sostenuti e coadiuvati nella crescita professionale, dalle associazioni di categoria o da altri enti o soggetti, che abbiano a cuore le sorti della nostra cultura gastronomica e dell'ospitalità, che come sopra accennavo potrebbe forse avere dei nemici.