Il libro edito da Mondadori, è allo stesso tempo un compendio delle vicende storiche dell’Impero Romano ed un’analisi delle ragioni che nei secoli immediatamente precedenti e successivi la nascita di Cristo, hanno portato l’Impero ad essere artefice principe della diffusione della viticoltura in Europa.
Sulla base di esami genetici sulle viti, elaborati dai prof. Attilio Scienza dell’università di Milano e Carol Meredith dell’università di Davis in California, in sinergia con altrettanto mirate ricerche storico/archeologiche, si può affermare che i vitigni coltivati oggi in Europa, non sono altro che i pronipoti dell’unico vitigno impiantato circa duemila anni fa per decisione dell’imperatore Probo, nei territori conquistati dalle legioni: il cosidetto “Heunisch”, così chiamato perché proveniente dal territorio abitato dagli Unni.
E’ questa la tesi che dà impulso al volume.
L’analisi dell’autore sulle ragioni che hanno determinato la diffusione della vite nell’intero Impero Romano (dalla Pannonia, alla Britannia, all’Hispania), si risolve sostanzialmente nella sottolineatura delle motivazioni eminentemente politiche alla base del processo.
Di fatto la vite, portata e impiantata dai centurioni nei territori annessi all’Impero, rappresentò l’emblema della “pax romana” che, nel segno del “hic manebimus optime”, vide i romani costruire nei territori conquistati, infrastrutture di servizio, di svago e nelle campagne impiantare colture come la vite, proprio a testimonianza di essere potenza dominante, duratura e stabile in quei luoghi.
Dunque la viticoltura risultò essere uno degli strumenti di espansione imperialista della romanità nei territori.
Su questa base inoltre, l’autore pone in rilievo come l’insieme degli aspetti complessi e variegati che costituivano il nucleo della strategia imperialista dei romani, sia stato preso a modello dagli Stati Uniti d’America molti secoli dopo, nell’intento di realizzare un’operazione di espansione economica e politica oltre i suoi confini (emblematico a tal proposito il parallelismo tra Probo e Ronald Reagan).
In questo modo il libro trova gradualmente la sua vera fisionomia.
Di fatto ogni paragrafo tende a focalizzare le sintonie e i punti di contatto, solo raramente le differenze, tra due Imperi così distanti nel tempo, ma così vicini nel modus operandi espansionista.
Al di là della supposta polemica tra Francia e Italia, sulla primogenitura della coltivazione della vite, da cui il libro teoricamente prende lo spunto a detta dell’autore stesso, a me pare invece che sia proprio questo della concatenazione tra due entità imperialiste, l’aspetto più interessante dell’opera: ovverossia la lettura di vicende recenti o contemporanee, messe in rapporto e spiegate con la storia dell’Impero Romano.
Oltre questo aspetto basilare che connota soprattutto la prima parte dell’opera, ma che in realtà è a mio avviso il suo filo conduttore principe, il volume allarga gli orizzonti e spazia su tematiche vinicole anche oltre l’Europa, destina uno spazio ad una ricerca etimologica sui nomi di vini e vitigni ed è fonte documentale storica di usi, costumi e miserie dell’era romana.
Roma Caput Vini - pag. 216 - € 18
Autori:
Giovanni Negri (giornalista, scrittore, produttore vinicolo nelle Langhe piemontesi, ex segretario del partito radicale ed ex parlamentare)
Elisabetta Petrini (laureata in scienze internazionali e diplomatiche all’università di Bologna e in economia, istituzioni e finanza all’università di Roma).
Edizioni Mondadori
Sulla base di esami genetici sulle viti, elaborati dai prof. Attilio Scienza dell’università di Milano e Carol Meredith dell’università di Davis in California, in sinergia con altrettanto mirate ricerche storico/archeologiche, si può affermare che i vitigni coltivati oggi in Europa, non sono altro che i pronipoti dell’unico vitigno impiantato circa duemila anni fa per decisione dell’imperatore Probo, nei territori conquistati dalle legioni: il cosidetto “Heunisch”, così chiamato perché proveniente dal territorio abitato dagli Unni.
E’ questa la tesi che dà impulso al volume.
L’analisi dell’autore sulle ragioni che hanno determinato la diffusione della vite nell’intero Impero Romano (dalla Pannonia, alla Britannia, all’Hispania), si risolve sostanzialmente nella sottolineatura delle motivazioni eminentemente politiche alla base del processo.
Di fatto la vite, portata e impiantata dai centurioni nei territori annessi all’Impero, rappresentò l’emblema della “pax romana” che, nel segno del “hic manebimus optime”, vide i romani costruire nei territori conquistati, infrastrutture di servizio, di svago e nelle campagne impiantare colture come la vite, proprio a testimonianza di essere potenza dominante, duratura e stabile in quei luoghi.
Dunque la viticoltura risultò essere uno degli strumenti di espansione imperialista della romanità nei territori.
Su questa base inoltre, l’autore pone in rilievo come l’insieme degli aspetti complessi e variegati che costituivano il nucleo della strategia imperialista dei romani, sia stato preso a modello dagli Stati Uniti d’America molti secoli dopo, nell’intento di realizzare un’operazione di espansione economica e politica oltre i suoi confini (emblematico a tal proposito il parallelismo tra Probo e Ronald Reagan).
In questo modo il libro trova gradualmente la sua vera fisionomia.
Di fatto ogni paragrafo tende a focalizzare le sintonie e i punti di contatto, solo raramente le differenze, tra due Imperi così distanti nel tempo, ma così vicini nel modus operandi espansionista.
Al di là della supposta polemica tra Francia e Italia, sulla primogenitura della coltivazione della vite, da cui il libro teoricamente prende lo spunto a detta dell’autore stesso, a me pare invece che sia proprio questo della concatenazione tra due entità imperialiste, l’aspetto più interessante dell’opera: ovverossia la lettura di vicende recenti o contemporanee, messe in rapporto e spiegate con la storia dell’Impero Romano.
Oltre questo aspetto basilare che connota soprattutto la prima parte dell’opera, ma che in realtà è a mio avviso il suo filo conduttore principe, il volume allarga gli orizzonti e spazia su tematiche vinicole anche oltre l’Europa, destina uno spazio ad una ricerca etimologica sui nomi di vini e vitigni ed è fonte documentale storica di usi, costumi e miserie dell’era romana.
Roma Caput Vini - pag. 216 - € 18
Autori:
Giovanni Negri (giornalista, scrittore, produttore vinicolo nelle Langhe piemontesi, ex segretario del partito radicale ed ex parlamentare)
Elisabetta Petrini (laureata in scienze internazionali e diplomatiche all’università di Bologna e in economia, istituzioni e finanza all’università di Roma).
Edizioni Mondadori
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