lunedì 11 ottobre 2021

Vitigni resistenti, vitigni Piwi, criticità, prospettive

Come premessa rileverei che copertura del mercato globale e climate change impongono aumento delle produzioni e corrispondente aumento della sostenibilità ambientale; a tale scopo soccorre la ricerca scientifica e in viticoltura le cosiddette biotecnologie, in grado di contemperare questi due aspetti apparentemente inconciliabili.
La partecipazione webinar al convegno "Verso una nuova viticoltura: il ruolo della genetica e del vivaismo", svoltosi 1 ottobre 2021 presso Vivai Cooperativi Rauscedo (realtà friulana leader mondiale nella produzione di barbatelle) in occasione dell'inaugurazione del VCR Research Center, con la partecipazione d'illustri relatori come Riccardo Ricci Curbastro, Raffaele Testolin, Eugenio Sartori, Riccardo Velasco, Paolo De Castro, Riccardo Cotarella, Attilio Scienza, Michele Morgante, mi ha dato lo spunto per qualche considerazione sui vitigni resistenti (cosiddetti piwi), lo stato dell'arte, le criticità, le prospettive.
Innanzitutto, cosa sono i vitigni resistenti: i vitigni resistenti sono ibridi ottenuti da incrocio tra specie di viti diverse (per esempio tra Vitis Vinifera e Vitis Labrusca oppure con Riparia, Aestivalis e così via), laddove il genoma è costituito per almeno il 90% da geni di Vitis Vinifera.
Tali ibridi risultano resistenti alle malattie fungine (oidio, peronospora) e tolleranti a malattie secondarie come marciume nero (black rot) e necrosi corticale o escoriosi, producendo quindi come effetto collaterale positivo, l'abbattimento dell'uso di fitofarmaci in vigna.
Il lungo lavoro di sperimentazione sui vitigni resistenti partì verso la fine dell'ottocento.
Solo verso la metà del secolo scorso in Germania con le varietà di terza e quarta generazione, cominciarono ad arrivare risultati qualitativamente apprezzabili.
Oggi i nuovi ibridi non presentano più le caratteristiche scadenti, le carenze organolettiche (aromi poco piacevoli di foxy e fragola) e salutistiche (elevati livelli di metanolo) di quelli del passato, poichè il genoma è costituito per almeno il 90% da geni di Vitis Vinifera.
Sono iscritte a Registro Nazionale una ventina di varietà resistenti, prevalentemente ottenute da una base di vitigno internazionale a bacca bianca o a bacca rossa (ne cito alcune: Bronner, Regent, Cabernet Cortis, Cabernet Carbon, Helios, Johanniter, Prior, Solaris, Fleurtai, Soreli, Sauvignon Kretos, Sauvignon Nepis, Sauvignon Rytos, Cabernet Eidos, Cabernet Volos, Merlot Khorus, Merlot Kanthus, Julius).
Sono in corso sperimentazioni per l'iscrizione a Registro di altre varietà ottenute da autoctono, allo scopo di neutralizzare il rischio di perdita del tratto identitario territoriale, che la diffusione di varietà resistenti può oggettivamente provocare.
Prendendo atto del trend odierno, penso si possa affermare con buona approssimazione che ancor più domani il profilo territoriale potrebbe rappresentare il driver decisivo per la conquista dei mercati e di questo la sperimentazione in viticoltura dovrà tenere conto.
Già dal prossimo anno a quanto pare, ibrido Gleres (da uve Glera) sarà a registro in Triveneto; in corso di sperimentazione ibridi da uve Cesanese, Malvasia, Bellone in Lazio, ibrido da Sangiovese in Toscana, ibrido da Ribona in Marche (ho avuto notizia di quest'ultimo caso in via non ufficiale, a latere di un convegno sul Ribona, quindi da prendere con beneficio d'inventario). 
Occorre però ammettere che vincoli e resistenze di carattere sia legislativo che burocratico, ostacolano la diffusione di tali vitigni, perlomeno fino a questo momento.
Occorrono due anni per l'iscrizione al Registro Nazionale, altri due anni per quella al Registro Regionale, un vero e proprio calvario che ostacola la diffusione dei vitigni resistenti; aggiungasi che gli effetti dell'iscrizione a Registro cambiano se il vitigno sia stato iscritto come Vitis Vinifera o sia stato iscritto come Ibrido, poichè la normativa Ue per i vini Dop, stabilisce che i medesimi siano prodotti solo con varietà di Vitis Vinifera, vietando l’utilizzo di Ibridi interspecifici nei vini Dop e consentendoli solo per i vini a Indicazione Geografica Protetta.
Tuttavia tali ostacoli burocratici potrebbero in qualche modo essere sterilizzati nel breve periodo, poichè da quanto emerso dal convegno di cui sopra, a livello Ue pare si stiano indirizzando verso l'autorizzazione dei vitigni resistenti pure nelle Dop, prescindendo dalla registrazione nei rispettivi Registri Nazionali come Vitis Vinifera o come Ibrido.
Questa è la situazione ad oggi, un primo passo verso il superamento dell'anticrittogamico in vigna.
La prospettiva di lungo periodo, sarà invece quella del passaggio dal vitigno resistente all'evoluzione assistita, ovvero alla cisgenetica (trasferimento di geni tra specie simili per arricchire dna) e genome editing (editing genomico, biologia molecolare, modificazione della sequenza del dna, per riscrivere il dna, senza l'apporto di materiale genetico esterno); si parla di 10-15 anni per la messa a regime di queste new technology.
Credo si possa affermare che il percorso tecnologico volto a contemperare aumento di produzioni e sostenibilità ambientale, non sarà senza ostacoli; notevoli sono oggi le resistenze e le diffidenze nei confronti delle biotecnologie, il quadro normativo ostacola l'innovazione tecnologica, la legislazione europea appare obsoleta quindi riformabile alla luce dell'evoluzione tecnologica in atto, poichè equipara new breeding technology (le nuove tecniche di coltivazione) ad ogm, non tenendo conto del fatto che la manipolazione genetica non avviene in questo caso tra specie diverse.
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