I relatori hanno aperto un focus sulle prospettive della Denominazione d'Origine Controllata "Falerio", in particolar modo soffermandosi sul legame antico con il territorio e sul tratto identitario inteso come volano di sviluppo dell'economia locale.
Gli interventi acuti dei relatori, non potevano che sollecitarmi qualche riflessione, che qui vado ad esporre.
Per la verità, il sottoscritto da parecchio tempo, parlo di anni, cerca di sensibilizzare produttori e addetti ai lavori sull'importanza di avere un tratto identitario vinicolo ben definito e riconoscibile.
Iniziative promozionali come quella di Porto Sant'Elpidio, di cui abbiamo celebrato il ventennale, sono a mio parere benemerite.
Un riferimento identitario vitivinicolo sarebbe in particolar modo utile per l'Agro Fermano, che a mio parere ancora non lo ha, a differenza di altri territori marchigiani come ad esempio quelli riferibili a Bianchello o a Verdicchio o a Rosso Piceno Superiore.
Eppure l'Agro Fermano avrebbe la sua carta da giocare, il suo asso nella manica: il vino Falerio ha una storia millenaria alle spalle, ha un radicamento sul territorio, ha valori enologici.
Il Falerio di oggi, proprio per l'evoluzione enologica, non è come quello del passato, oso dire che, al netto della sua storia millenaria, Falerio è paradossalmente diventato sinonimo di modernità, di contemporaneità.
Gli andamenti di mercato sono ciclici.
Anni fa le produzioni puntavano su sovraestrazioni, su vini poderosi, maestosi; come in una gara di sollevamento pesi, vinceva chi sollevava di più.
Oggi si fa l'esatto opposto, cioè si preferisce togliere, al fine di alleggerire, al fine di adeguarsi a stili di vita nuovi, a diete alimentari salutistiche, al fine di acchiappare millennials.
Il Falerio qua, in un contesto di questo tipo, ci cascherebbe a fagiolo, poichè ha quelle caratteristiche di leggiadrìa e di freschezza che il mercato odierno vuole e persino potrebbe avere ruolo di volano di sviluppo dell'economia locale.
Viceversa rimane all'angolo e nell'anonimato, poichè non è stato a tempo debito valorizzato dagli organismi preposti a promozione e sviluppo della viticoltura locale.
Data la situazione che si è venuta a creare, l'operazione di rivalutazione del Falerio come vino di territorio, risulta purtroppo in grave ritardo, nonostante tutta la buona volontà che ci hanno messo e continuano a metterci Confartigianato Imprese e Ais Marche.
Tale operazione, a dire la verità tutt'altro che semplice, una volta che si decidesse di realizzarla richiederebbe a mio parere tempi medio/lunghi, poichè si tratterebbe innanzitutto d'individuare l'organismo cioè la governance (dentro o anche fuori i Consorzi di Tutela) che si prenderebbe in carico la questione, poi si tratterebbe di elaborare una modalità operativa volta a produrre coesione tra produttori e dare univocità alla parcellizzazione, un brand ad esempio, una strada del vino, una sorta di infrastruttura di base, tangibile, iconica, riconoscibile.
Ciononostante il paradosso sarebbe in ogni caso in agguato dietro l'angolo, poichè se per ipotesi tutti gli obiettivi dovessero essere raggiunti, la tempistica medio-lunga di realizzazione potrebbe non metterli in sincrono con l'andamento dei mercati ciclico di cui parlavo sopra; l'operazione quindi rischierebbe di non sortire effetti positivi dal punto di vista commerciale.
Quest'ultima non voglio dire che sia una mia fuga in avanti, però è anch'essa un'ipotesi plausibile.
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