) e nella regione Abruzzo, tanto da diventare parte integrante del profilo identitario di questi territori.
Storia e normativa.
Per quanto riguarda regione Marche, risultano documentazioni che fanno riferimento al Vino Cotto, risalenti al primo secolo dopo Cristo; questo solo fatto sta ad indicare quale radicamento abbia avuto ed abbia tuttora nelle aree agricole.
E' molto probabile che il largo uso e produzione di Vino Cotto nella regione, trovasse origine nel fatto che in passato i contadini non erano esperti vinificatori e preferivano rimboccare di mosto appena cotto, le botti dove erano presenti i vini di scadente qualità degli anni precedenti.
Il Vino Cotto diventa nel tempo, sinonimo di eccellenza e il miglior biglietto da visita del bravo agricoltore, il vino da offrire agli ospiti, il vino utilizzato nella liturgia religiosa, il vino delle grandi occasioni.
Nonostante tale legame territoriale e retroterra storico, il vino cotto è stato a rischio estinzione, poichè è entrato in contrasto con la normativa vigente, la quale non consente di affiancare il termine "vino" ad una bevanda ottenuta dal riscaldamento del mosto.
La definizione di "vino" è contenuta nel Testo Unico del Vino che disciplina la materia in Italia, Reg. 491/2009 all XI ter, punto 1: “è vino il prodotto ottenuto esclusivamente dalla fermentazione alcolica totale o parziale di uve fresche, pigiate o no, o di mosti di uve”; non si fa quindi riferimento a riscaldamento o bollitura dei mosti e questo fatto non ha, fino a qualche anno fa, consentito al Vino Cotto di essere commercializzato con il suo nome proprio.
Si è ovviato a questa criticità con Decreto Ministeriale dell'anno 2000, che ha inserito il Vino Cotto nell'elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali della regione Marche (e della regione Abruzzo), facendo leva su requisiti storici oggettivi.
Come si fa il vino cotto.
Il Vino Cotto si fa con uve locali, generalmente a bacca bianca, trebbiano, verdicchio, malvasia, galloppa, maceratino, che tuttavia si possono mischiare con uve a bacca rossa.
Le uve vengono pigiate insieme e torchiate.
Il mosto ottenuto viene quindi fatto bollire in grandi caldaie in rame o acciaio, denominate nel gergo locale "callare", in modo da produrre la massima concentrazione zuccherina.
Quella della bollitura è fase assai delicata, poichè non deve spingersi oltre un certo limite.
Per monitorare tale processo e per misurare lo zucchero residuo, si utilizza il mostimetro di babo: il grado babo ideale da raggiungere, si aggira intorno ai 27°- 28°.
Eccedere nella concentrazione zuccherina significherebbe mettere a rischio la successiva fase di fermentazione.
Dopo la bollitura, il prodotto ottenuto viene fatto fermentare per almeno 5/6 mesi, quindi messo in affinamento per un lunghissimo periodo (anche 10 anni) in botti di rovere, di ciliegio o legno di altra specie, preferibilmente di secondo o terzo passaggio, purchè abbiano già ospitato vino di qualità.
Elementi importantissimi quindi, per ottenere un prodotto di alta qualità, sono la messa del vino in botti di legno e la sua lunga conservazione.
Come tradizione vuole, nel maceratese, a differenza che nell'ascolano e nel fermano, il vino appena cotto non viene rimboccato in caratelli dove è già presente quello degli anni precedenti, ma ogni annata fermenta e affina in modo autonomo, al fine di evitare rifermentazioni che andrebbero ad incidere negativamente sul grado alcolico; al netto di ciò, nel corso del periodo d'affinamento si può fare il rimbocco con la cosiddetta "Madre" (la feccia nobile che il cantiniere preleva da altre botti a sua discrezione, per dare il salto di qualità al vino d'annata).
Viceversa nelle provincie di Fermo ed Ascoli Piceno, che sono le altre zone vocate della regione Marche per la produzione di Vino Cotto, vige una tradizione diversa; le singole annate infatti, non fermentano e affinano in modo autonomo, ma il mosto appena cotto, viene rimboccato in caratelli dove è già presente il Vino Cotto degli anni precedenti, la cui "Madre" può quindi essere "vecchissima" di 30-40-50-60 anni.
Caratteristiche organolettiche.
Il vino cotto generalmente presenta il classico colore ad "occhio di gallo" (nè troppo chiaro, nè troppo scuro), granato scarico, tendente al giallo ambrato, con sfumature nocciola.
Ha gusto intenso, persistente, caratterizzato da note liquorose e ossidative, marmellata di prugne, frutta cotta e candita, fichi secchi e pasticceria, mon chèri e torrefazione, tratto rurale più o meno accentuato in relazione al bilanciamento tra acidità e dolcezze.
Come regola generale, è possibile affermare che il lungo invecchiamento sia in grado di stemperare spigolosità o stucchevolezze e aumentare i valori qualitativi fino a livello di eccellenza.
Ottimo vino da dessert, affiancabile a dolci secchi, crostate, frutta e castagne.
Tuttavia come tradizione vuole, non si escludono altri utilizzi gastronomici di cucina, in particolare per sfumare carni o per salsare.
Vino Cotto e Sapa.
Il Vino Cotto è una bevanda ottenuta da bollitura e fermentazione di mosti, la Sapa o Saba è un dolcificante ottenuto da bollitura di mosti, senza fermentazione.
Il nome Sapa che viene dato al mosto cotto, ha origine probabilmente dall'espressione dialettale maceratese 'nzuppà (inzuppare): era abitudine contadina infatti, usare il mosto cotto come condimento per la polenta.
La Sapa è nell'elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali delle Marche e di altre regioni italiane come ad esempio Emilia Romagna e Sardegna, dove prende il nome di Saba.
Allo stesso modo del "vino cotto", deriva da un assemblaggio di uve, in genere a bacca bianca.
Si ottiene dalla prolungata bollitura del mosto ad una temperatura che non deve superare i 60°centigradi, per arrivare ad una riduzione di oltre 2/3 del volume iniziale.
Nell'ultima parte dell'operazione di solito si procede "a bagno maria" per evitare la caramellizzazione ed evitare che il mosto si attacchi al fondo del recipiente.
Ne risulta un prodotto di estrema concentrazione, in cui il residuo zuccherino è talmente elevato da inibire qualsiasi possibilità di fermentazione.
Il suo utilizzo non è limitato alla pasticceria come ingrediente di dolci tipici, ma è anche base per la realizzazione di aceti balsamici.
Ancor più legato alle tradizioni popolari, è l'uso che se ne fa in abbinamento alla polenta o a formaggi stagionati.